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Quando l’umana ha detto: “Oggi si cammina, Otto,” ho capito che non era il solito giro da porticciolo e ritorno. All’inizio ho fatto finta di niente, ma poi ho visto le scarpe da trekking. E lo zainetto blu. Quello con la mia ciotola pieghevole. Allora ho capito: niente scampo. Destinazione Cinque Terre.

Siamo partiti da Monterosso, che ha un nome da supereroe ma odora di limoni e mare. Non ho ancora capito perché, ma appena siamo arrivati tutti volevano farmi una foto. Una signora americana ha detto: “Look! A golden dog in a golden village!” Io ho fatto finta di nulla, ma ho posato benissimo. Altro che Bolt. Io non recito. Io sono.

La salita verso Vernazza non è per cani con la pancia piena. Né per umani con la focaccia ligure in corpo. Quella vera, che se la stringi esce olio. Io la natura l’ho sentita tutta: la terra, il rosmarino selvatico, un paio di scarpe nuove e una fatica che aveva l’odore preciso della sincerità.

Il sentiero era stretto, scalini ovunque. Lei diceva: “Guarda che panorama!” Io guardavo solo dove mettere le zampe. A metà percorso si è fermata, rossa in faccia. “Beviamo?” Avevo già mezzo muso nella sua borraccia.

Poi, con voce da pubblicità, ha detto: “Questa è la bellezza della fatica.”

Io ho pensato che, se la bellezza avesse una forma, sarebbe stata quella di una brandina all’ombra.

A un certo punto ho incontrato un gatto locale. Grigio, occhi a mandorla, portamento da sindaco.

Ci siamo fissati per un tempo ragionevole. Lui sul muretto, io a terra. Poi, come due professionisti, ci siamo ignorati con eleganza. “Io qui ci vivo.” “Io passo.” Tutto detto senza parlare.

Poi, all’improvviso, Vernazza. Un sogno che spunta tra i rami. Chiara si è fermata a prendere un cono al limone. Io ho trovato un’ombra sotto una barca rovesciata. Un bambino mi ha lanciato un pezzo di pane. Un altro ha detto: “Mamma, possiamo prenderne uno così?”

E lei ha risposto: “È troppo felice, amore. Non si compra. Si incontra.”

Chiara mi ha accarezzato la testa e ha sussurrato: “Sembra di stare nel film Luca.”

Io non so chi sia Luca. Ma se anche lui ha corso tra questi vicoli, con la lingua di fuori e il cuore leggero, mi sta simpatico.

Ci siamo seduti sul molo. Lei guardava il mare, io il suo cono al pistacchio. Alla fine, una leccata. Profonda. Meritata. Poetica.

“Domani continuiamo?” ha chiesto.

Io mi sono stiracchiato, ho sbadigliato davanti al tramonto… e ho chiuso gli occhi.

Se c’è un modo migliore per dire sì, io non lo conosco.