(Sentiero del Viandante, Lago di Como)
Il Sentiero del Viandante ha un nome importante, quasi da favola. Ma stamattina, mentre lui si allacciava le scarpe con quell’aria da spedizione, e io cercavo di capire quanto sarebbe durata l’avventura, mi è sembrato più che altro un modo gentile per dire: “Si sale. E non si scherza.”
Siamo partiti da Bellano, proprio vicino all’Orrido. Lui me l’ha indicato con entusiasmo: “Guarda che meraviglia naturale!” Io mi sono affacciato, ho annusato l’aria umida e ho pensato: Halloween, episodio uno. Grotte scure, cascate impazienti, rocce viscide… mancava solo un gufo e potevamo girare un trailer.
Lasciato alle spalle l’effetto cinema, abbiamo imboccato il bosco. Foglie bagnate, muschio ovunque, odore fresco di animali passati da poco. Io l’ho sentito subito, chiarissimo. Lui invece guardava un’app sul telefono che gli contava i passi e i battiti. Io i battiti li sento sotto le zampe.
Poi, il picchio.
Toc toc toc. Ritmico, insistente, come uno che bussa e nessuno risponde. “Che suono rilassante!”, ha detto. Mah. Dipende da quanto sei vicino.
Poco più in alto ci siamo fermati su un tornante assolato. Io avevo fiutato tracce nette di cerbiatti, almeno tre. Sicuro erano scesi all’alba a bere. Lui invece era impegnato a fotografare il lago che faceva capolino tra i rami. “Guarda che vista!” ha detto. Sì, bella. Ma vuoi mettere il profumo?
Poi eccolo lì: un mulino romano piantato nel bosco, in mezzo al nulla. Lui si è fermato, lo ha guardato come si guarda qualcosa che non torna e ha detto: “Ma perché proprio qui?” Io non ho risposto. Ma dentro, ho pensato: magari anche i romani seguivano il naso.
Dopo un po’ abbiamo trovato una pietra piatta, “la panchina perfetta”, secondo lui. Ha tirato fuori il panino. Io, una fontanella. E come in certi sogni, è arrivata una signora con passo deciso e bastoncino da trekking. Aveva una focaccia in mano, in evidente pericolo. Mi ha guardato, ha sorriso. Me ne ha regalato un pezzo.
Lui ha commentato: “Ormai sei più popolare di me.”
Cosa posso dire? La focaccia fa miracoli.
Nel pomeriggio il bosco era cambiato. L’aria più leggera, la luce più blu. Ci siamo fermati su un tratto aperto, con vista da cartolina e silenzio vero, di quelli che ti fanno respirare meglio. Lui ha tolto lo zaino, si è seduto tranquillo. Io mi sono sdraiato accanto, zampe in avanti, orecchie basse. Quella posizione che dice: sto bene. E sì, stavo pensando anch’io.
Sotto di noi il lago era fermo, lucido, come se non si fosse accorto di niente. Noi sopra, a guardarlo in silenzio. Lui ha addentato una mela. Io ho chiuso gli occhi.
Poi si è alzato e ha detto: “Dai, manca poco.”
Io ho sbuffato piano, senza farmi sentire.
Sì, manca poco all’arrivo. Ma questo tratto qui — tra il panino e il mulino, tra il picchio e la focaccia — lo metto tra le cose da ricordare.